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Gerfried Horst: Königsberg - Kaliningrad: La ricerca dell’identità

 

 

Dopo il crollo dell’Urss molte città russe, a cominciare da Leningrado, hanno ripreso il loro nome originario ripristinando così quel senso di continuità con il passato bruscamente interrotto dal comunismo; questo non sembra essere ancora possibile per Kaliningrad, già Königsberg, la capitale della Prussia orientale, il cui nome è legato indissolubilmente a Immanuel Kant. Ma chiediamoci, come don Abbondio «Kalinin, chi era costui?»

Michail Ivanovich Kalinin nacque nel 1875 a Twer, sul corso superiore del Volga, da una famiglia di contadini. Lavorò come tornitore in una fabbrica di San Pietroburgo e nel 1905 entrò nel partito socialdemocratico dei lavoratori russi, il partito di Lenin partecipando nel 1917 alla rivoluzione d’ottobre. Lenin, ritenendo che Kalinin, per l’origine contadina e il lavoro in fabbrica, impersonasse alla perfezione il legame tra operai e contadini, lo fece eleggere nel marzo 1919 presidente del comitato esecutivo di tutti i soviet. Rimase poi sempre all’ombra di Stalin, sempre acquiescente ai suoi voleri, e ricoprì per ben 27 anni la carica di Presidente dell’Urss. Meno poteri aveva e più veniva ricoperto di onori: decine di città, paesini, strade, fabbriche e scuole furono infatti ribattezzate con il suo nome. Anche Twer, la sua città natale, assunse nel 1931 il nome di Kalinin grazie a un decreto firmato da lui stesso!

 

Kalinin morì il 3 giugno 1946. Proprio in quei giorni si stava cercando un nome russo per la capitale della Prussia orientale conquistata dai Sovietici nel ‘45. Appena un mese dopo la morte di Kalinin, Stalin in persona firmò un decreto in base al quale Königsberg fu ribattezzata «Kaliningrad» e la Prussia orientale «Kaliningradskaja Oblast», ‘provincia di Kaliningrad’. Dal 1959 una gigantesca statua di Michail Kalinin troneggia sulla piazza della stazione, intitolata anch’essa, come la strada che da essa si diparte, al suo nome.

Un rapporto segreto della commissione di inchiesta istituita dal Politburo nel dicembre 1988 – vale a dire durante la perestrojka – sul terrore stalinista dagli Anni Trenta fino all’inizio degli Anni Cinquanta ha studiato il ruolo di Kalinin giungendo alla conclusione che anch’egli era colpevole degli arresti arbitrari, delle deportazioni e delle fucilazioni di milioni di sovietici. La commissione raccomandava perciò al Soviet supremo di annullare tutti i decreti in base ai quali città, paesi, strade, colcos e altre istituzioni erano state ribattezzate con il suo nome.

Dal 1990, la città di Kalinin sul Volga ha così ripreso il nome di Twer; anche Kaliningrad, se in precedenza fosse stata una città russa, avrebbe ripreso da tempo il suo vecchio nome. Prima della II guerra mondiale, però, la città si chiamava Königsberg ed era la capitale della Prussia orientale! Perciò il nome di Kaliningrad è tuttora rimasto - come il monumento a Kalinin sull’omonima piazza.

 

È giusto che la città di Kant debba continuare a chiamarsi Kaliningrad? Prima di rispondere a questa domanda, cerchiamo di capire meglio «Kalinin, chi era costui?». In un saggio intitolato «Della moralità del nostro popolo» il nostro scriveva: «Attraverso la nostra letteratura, attraverso le opere più belle dei nostri artisti si snoda, a mo’ di un filo rosso, l’odio contro il male come un sentimento tra i più nobili e insieme uno dei mezzi più efficaci nella lotta contro i nemici dell’umanità…». E nel saggio intitolato «L’educazione del comunista» si legge: «La storia ci ha assegnato il compito impegnativo di continuare la lotta di classe fino alla vittoria completa del comunismo. Per questo dobbiamo educare tutti i lavoratori dell’Unione Sovietica al patriottismo più fulgido, all’amore infinito per la patria, un amore che non conosce pietà per i nemici e che non vacilla di fronte a nessun sacrificio».

 

Immanuel Kant nell’opera «Fondazione della metafisica dei costumi”, apparsa nel 1785, scriveva: «Ora io dico: l'uomo e, in generale, ogni essere ragionevole, esiste come fine in se stesso, non semplicemente come mezzo per essere usato da questa o quella volontà; ma in tutte le sue azioni, sia quelle che lo concernono in proprio sia quelle che concernono gli altri esseri ragionevoli, deve sempre essere considerato nello stesso tempo come fine….L'imperativo pratico sarà pertanto il seguente: agisci in modo da trattare l'umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo».

In Russia, gli scritti di Kalinin non li legge più nessuno, né é possibile acquistarli in libreria; lo stato di cui era a capo si è dissolto in quindici stati sovrani e l’ideologia da lui personificata è ormai storia. Gli insegnamenti di Kant, invece, mantengono intatta la loro validità; ad essi fanno riferimento numerose concezioni sociali e morali del nostro tempo. L’«imperativo pratico» kantiano si oppone all’invito di Kalinin di non avere alcuna pietà per i nemici. Per Kant, anche il nemico è un uomo e come tale va trattato - non può essere catturato di notte dalla polizia segreta né essere fucilato senza processo, come sosteneva Kalinin.

Dal punto di vista morale, alla domanda se Königsberg debba continuare a chiamarsi Kaliningrad non si può che rispondere come fece nel 1988 la commissione d’inchiesta del Politburo. Dal punto di vista politico, invece, non esiste ancora una risposta a questa domanda.

 

Ma ci sia consentito un breve cenno sulla storia della città.

Königsberg fu fondata nel 1255 dall’ordine dei Cavalieri Teutonici che, trent’anni prima, erano stati chiamati dal principe polacco Corrado di Masovia per cristianizzare i Pruzzi, insidiatisi sulle coste baltiche. Per Corrado, doveva trattarsi di un aiuto temporaneo ma Hermann von Salza, il Gran Maestro dell’Ordine, ottenne da Federico II il possesso di quelle terre e dal Papa Gregorio IX il diritto di evangelizzarle. I Cavalieri Teutonici, così, si stabilirono definitivamente sul Baltico.

Quasi trecento anni più tardi Alberto di Brandeburgo, l’ultimo Gran Maestro, aderì alla riforma luterana trasformando la Prussia orientale, sempre su consiglio di Martin Lutero, in un ducato ereditario; nel 1544, poi, fondò l’Università di Königsberg, una delle più antiche dell’Europa orientale. Nel 1701, Federico I vi si fece incoronare re e da allora Königsberg rimase la città in cui venivano incoronati i re di Prussia. Nel 1724 nacque a Königsberg Immanuel Kant che visse nella sua città natale fino alla morte, avvenuta nel 1804. Nella II guerra mondiale, lo Stato maggiore tedesco la difese disperatamente ma, alla fine di agosto del 1944, la città fu bombardata per ben due volte dagli Inglesi; fra le sue rovine i soldati tedeschi resistettero fino alla capitolazione, sottoscritta il 9 aprile 1945. Nella conferenza di Potsdam, nel luglio del 1945, Truman e Churchill aderirono al desiderio di Stalin che voleva annettersi la città e il territorio circostante. Dei 120.000 civili che ancora vivevano a Königsberg, 100.000 perirono di stenti, fame e malattie tra il ’46 e il ’48; i pochi superstiti furono deportati nella Germania occidentale nel 1948. L’odissea degli sconfitti fu descritta da Michael Wieck in: «A childhood under Hitler and Stalin - Memoirs of a "certified Jew», The University of Wisconsin Press. La popolazione tedesca venne subito ‚sostituita’, per ordine di Stalin, da russi provenienti da tutte le repubbliche dell’Urss; e fino al 1991 la provincia fu considerata zona militare chiusa non soltanto agli stranieri ma, com’era consuetudine nell’Urss, anche ai sovietici. Dal crollo del comunismo, nel 1991, il territorio costituisce un’enclave incuneata tra Lituania e Polonia, Paesi che dal 2004 sono diventati membri dell’Unione Europea. Un’«isola russa» all’interno della UE!

 

Dal giugno 1946 Kaliningrad è, ripetiamo, il nome russo della città. E i politici locali un po’ per campanilismo un po’ per obbedire alle direttive di Mosca, non fanno che sottolineare l’appartenenza della città e del territorio alla Russia.

 

Nel 2006, il governatore Georgij Boos e il sindaco Juri Sawenko hanno festeggiato il 60° ‘anniversario’ di Kaliningrad e della Kaliningradskaja Oblast senza accennare però a Kalinin. Nessuno più deposita fiori sul monumento e neppure i vecchi comunisti si occupano più di lui; nella Siegesplatz (Piazza della Vittoria, già Hansaplatz), il monumento a Lenin è stato sostituito da un altro, gigantesco, che ricorda la vittoria nella Grande Guerra patriottica (così i Russi chiamano la II guerra mondiale) e i soldati russi caduti nella conquista di Königsberg. Nel basamento del monumento è stato murato il seguente messaggio per i posteri: «Noi, i loro discendenti, ci impegneremo con tutte le nostre forze e capacità per far rifiorire la nostra terra, la terra dell’ambra. In noi vive la speranza che la ricchezza e la bellezza della terra russa fioriscano nel cuore dell’Europa».

La «terra russa » è sacra per ogni russo. Un territorio rimasto germanico per cinque secoli, la Prussia orientale, s’è ora trasformato in ‘terra russa’. Sono pero sufficienti la mera conquista del territorio e la cacciata della popolazione tedesca? Non è stato un caso che il 10 settembre 2006 – dopo i festeggiamenti per il 60° anniversario della fondazione della regione di Kaliningrad e del cambio di nome della città – Alessio II, patriarca di Mosca e della Russia, inaugurando la cattedrale russo-ortodossa in Piazza della Vittoria alla presenza di Putin, ha sottolineato che la cattedrale è la più bella testimonianza che «questa è terra russa, terra ortodossa».

Sono due moscoviti, il governatore Georgij Boos e il presidente del Parlamento regionale Sergej Bulytschev – entrambi del partito di Putin «Russia unita» – a decidere la politica della città e della provincia; i loro sforzi per dare al territorio un’identità russa rispondono a precise direttive di Mosca. Nell’autunno del 2005, per esempio, fu emanato un decreto per dotare il territorio di uno stemma e di una bandiera. Lo stemma adottato nel giugno 2006 viene ‘incorniciato’ dal nastro dell’Ordine di Lenin, conferito ai tempi sovietici al territorio di Kaliningrad. Nella parte inferiore dello stemma ci sono delle linee ondulate blu che simboleggiano il Baltico; al di sopra, cinque cerchietti color oro che simboleggiano l’ambra e ancora più sopra, una fortezza con due torri a significare che il territorio è un avamposto della Russia – il portone aperto della fortezza simboleggia l’apertura del territorio al mare e della Russia al mondo. Al di sopra del portone, il monogramma della zarina Elisabetta è sovrastato da una corona color ambra – che vorrebbe essere prussiana; la bandiera, poi, è costituita da una striscia blu e una rossa divise inframezzate da una terza, più sottile, di color giallo; a sinistra della striscia rossa c’è una porta bianca, la stessa che compare nello stemma.

Questa miscela di motivi sovietici, zaristi e pseudoprussiani nonché regionali è stata oggetto di un articolo di Igor Schkelov nel giornale «Kalingradskaja Prawda» che l’ha definita un’impostura e una teoria astratta. Secondo il giornalista, la corona è un prodotto artistico antistorico. E poi: associare un simbolo monarchico al nastro dell’ordine di Lenin? Ma se è stato Lenin a distruggere l’impero zarista! Peraltro, Lenin era già morto da un bel pezzo quando ‘nasce’ Kaliningrad. Il monogramma della zarina Elisabetta –che ricorda da vicino l’euro – sembra fuori luogo giacché l’annessione all’Urss non è avvenuta grazie alla zarina bensì a Stalin. Sembrerebbe più appropriato un monogramma della lettera J (in russo, la prima lettera di “Giuseppe”, il nome di Stalin).

 

Anche nel Parlamento regionale, in occasione della lettura della legge sullo stemma e sulla bandiera del territorio di Kaliningrad, l’8 giugno scorso, alcuni deputati hanno criticato lo schizzo. I comunisti osservavano con disprezzo che la corona sta al territorio di Kaliningrad «come la sella sta alla vacca». Ma il partito di Putin “Russia unita”, che dispone della maggioranza assoluta, ha votato a favore dello stemma e della bandiera che sono stati mostrati la prima volta nel luglio 2006, in occasione dei festeggiamenti per il 60° anniversario della fondazione del territorio di Kaliningrad.

Il governo regionale ha ora indetto un bando per dare alla città un nuovo inno. Finora ad ora sono arrivate solo canzoni che, a giudizio della commissione, sono un mixer di canzoni russe e di marce militari. Nel periodo sovietico c’era un inno che inneggiava ai nuovi coloni russi esaltando il comunismo e il partito. Lo si potrebbe modificare ma, ci si chiede, è possibile che un inno tralasci di citare il nome della città che vuole esaltare?

 

Lo stemma e la bandiera si riferiscono al territorio di Kaliningrad, non alla città. Kaliningrad non ha uno stemma, Königsberg, invece ce l’ha, o meglio l’aveva. Grigorij Lehrman ha scritto nel 2005[, in un libro pubblicato a Kaliningrad,] che «lo stemma di Königsberg è uno degli stemmi europei più antichi e belli… uno stemma è l’origine storica, un documento eterno e non transeunte, un simbolo senza età che appartiene agli uomini, indipendentemente dalla loro razza e dalla loro lingua».

In russo vi sono due termini per indicare il concetto di verità: «pravda» nel senso di ragione, giustizia e «ístina», la verità nel senso di sincerità, certezza, non-segretezza. Istina corrisponde al greco ‘aletheia’, la verità che ha come contrario la bugia ed indica la realtà, l’autenticità, la genuinità in opposizione al falso, all’«inventato». Mentre la «pravda» deriva dal cielo ed è un regalo della grazia divina, l’«ístina» deriva dalla terra e appartiene al giudizio dell’uomo. Il significato di «ístina» è ben radicato nel carattere del popolo russo. Così si spiega la critica della Kaliningradskaja Pravda allo stemma approvato dal parlamento regionale. Esso è considerato qualcosa di artefatto, un falso, una bugia.

 

Lo stemma di Königsberg, al contrario, è un vero stemma. Si può prevedere che il tentativo del governo di dare un nuovo stemma e una nuova bandiera non verrà accettato dalla popolazione. L’« ístina» , la ricerca di ciò che è autentico, spingerà chi è nato e cresciuto in questa terra a confrontarsi senza pregiudizi con la sua storia, con la storia della Prussia orientale. Questo interesse è stato scoperto, nel frattempo, dalle aziende e imprese locali. Nel passaggio pedonale situato tra il «Mega Market» e il «Mega Center» ci si trova all’improvviso davanti a una gigantesca cartina della Prussia orientale che ricopre tutta la parete. Nei suoi confini storici, da Marienwerder (oggi Kwidzyn, in Polonia) fino a Memel (oggi Klaipeda, in Lituania), con il nome Königsberg, citati sia in russo che in tedesco e con altri particolari quali lo stemma e la bandiera prussiana.

Non si cita affatto la circostanza che la città, dal 1946, non si chiama più Königsberg bensì Kaliningrad: sulla cartina della Prussia orientale, tutte le località conservano la loro denominazione tedesca – in caratteri cirillici, s’intende. Le altre pareti del passaggio pedonale sono tappezzate con immagini in formato gigante dell’antica Königsberg. La direzione dei centri commerciali «Mega Market» e «Mega Center» trasmette in questo modo ai clienti la sensazione di passeggiare per una strada di Königsberg.

La ricerca di «ístina» spinge i Russi a prendersi gioco di tutto ciò che è falso e artificioso. Quasi ogni giornale ha una sua ‘pagina umoristica’ in cui si pubblicano scherzi e barzellette dei lettori. Il 1° aprile 2006, la Kaliningradskaja Pravda ha invitato i lettori a individuare gli scherzi di aprile presenti nel giornale. Uno era proprio in prima pagina: c’era scritto che il giorno prima il monumento a Kalinin era stato smontato dal piedistallo, con tanto di foto del piedistallo vuoto! I giornalisti non sono riusciti a sapere chi fosse l’autore dell’articolo. A pag. 3, poi, c’era un reportage sul viaggio fatto da una delegazione della città di Korolew, vicino Mosca - che prima si chiamava anch’essa Kaliningrad ma poi, nel 1996, ha preso il nome di Korolew dal fondatore della ricerca spaziale, Sergey Pavlovic Korolew. Siccome Kalinin è andato parecchie volte nella città vicino Mosca ma non ha mai messo piede a Kaliningrad, le due delegazioni cittadine, secondo l’articolo, avevano deciso di scambiarsi il nome: Korolew avrebbe ripreso a chiamarsi Kaliningrad e Kaliningrad avrebbe assunto il nome di Korolew. Il che calzava a pennello se si pensa che Königsberg in russo significa proprio «Korolewskaja Gora».

Questi pesci d’aprile dimostrano quello che pensano di Kalinin i lettori del giornale: se potessero, si libererebbero immediatamente del nome di una persona che non ha niente a che fare né con la città né col territorio, che anzi non c’è stato neanche una volta. Nel frattempo sembra diventato un’abitudine usare entrambi i nomi insieme. Sulle cartoline illustrate del Duomo, della Königstor o del monumento a Kant si trova scritto: «Königsberg – Kaliningrad».

 

Il nome «Königsberg» è presente dappertutto, in città. Negli annunci matrimoniali della «Kaliningradskaja Prawda» on line (www.Kaliningradka.ru) gli inserzionisti indicano la città come «Kaliningrad –Kenigsberg». Usando i caratteri cirillici, i russi scrivono «Kenigsberg» oppure «Kjonigsberg»; e, quando lo pronunciano, il nome della città risuona quasi come risuonava sulla bocca dei Prussiani d’un tempo che dicevano «Keenichsbarch». I giovani dicono più brevemente «Kenig» o semplicemente «Kjon».

Königsberg, in oltre, è diventato un marchio di qualità. Un’azienda di autobus si chiama da anni «König Auto»; «Königsberg» è anche il nome di una birra e «Königsberger Festung» quello di una vodka. Königsberg è una fabbrica di mobili (www.kenigsberg.ru) che offre i suoi mobili, «costruiti secondo la tradizione prussiana» in tutta la Russia: vi si trovano tra l’altro una «collezione berlinese», un «divano Bismarck» e modelli quali «Kaiser», «Kanzler», «Siegfried» e «Wilhelm». Una rivista di economia che esce da poco a Kaliningrad si chiama «Novyj Kjonigsberg». L’Hotel Sambia di Cranz (oggi Selonogradsk) appartiene al gruppo «Königsberg Trading». Enormi manifesti che tappezzano i muri di Kaliningrad mostrano il busto di Immanuel Kant e la riproduzione di una delle sue lettere, con la data e l’indicazione del posto «Königsberg»: è la pubblicità della Lukoil, una multinazionale del petrolio che sponsorizza il Museo di Kant.

Già prima del 750° anniversario della fondazione della città, nel 2005, c’erano stati dei tentativi di ridare alla città il suo nome: Königsberg. Un’iniziativa cittadina «Per Königsberg» aveva chiesto ai deputati del Parlamento regionale di ridare alla città il suo nome; e l’appello è stato firmato dagli abitanti della città, vale a dire è rimasto anonimo. Il sito http://www.enet.ru/≈kc/aktkbg, non più aggiornato dal 2004, contiene tutta una serie di argomenti, una descrizione della vita e delle opere di Michail Kalinin nonché le prese di posizione di note personalità russe che si sono espresse a favore del fatto che la città riprendesse il nome che aveva prima dell’ultima guerra. Tra questi, l’ex-ministro della cultura Michail Schwydkoj che ha affernato «Kaliningrad è una città russa, per questo si può chiamare anche Könisgberg» e il letterato Wladimir Toporow secondo cui sarebbe più utile per la Russia riportare da sé sugli atlanti il vecchio nome di Königsberg invece di aspettare che il fatto diventi ineludibile.

Altri politici della città, come l’ex presidente del Parlamento regionale Wladimir Nikitin, rifiutano invece ogni riferimento a Königsberg come anche di esprimersi sulla ricostruzione del castello di Königsberg perché temono che «quest’isola occidentale» si possa allora allontanare dalla Russia e che l’Unione europea e la Nato, in questo caso, potrebbero annettersi il territorio. Timore, va detto, del tutto infondato. Gli abitanti di questo territorio sono russi e vogliono restare russi; ma sono alla ricerca di una loro identità nazionale anzi regionale, come di prospettive di sviluppo. Non vogliono vivere in un angolo appartato, esclusi dall’Unione Europea. Né avrebbero difficoltà a vivere in una città già prussiana che si chiamava Königsberg e che il suo cittadino più illustre, Immanuel Kant, nell’Antropologia pragmatica, definisce «una città universitaria e commerciale la cui posizione sul mare facilità le relazioni anche con Paesi lontani con lingue e costumi diversi». E, pur senza aver mai varcato le Alpi, dice degli Italiani, sempre nell’«Antropologia pragmatica»: «L'Italiano unisce la vivacità francese (gaiezza) alla serietà (fermezza) spagnola; ciò che lo caratterizza nel dominio estetico è la congiunzione di emozione e gusto; così il paesaggio, che si distende dalle cime delle Alpi alla dolcezza delle valli, ispira da un lato il coraggio e dall'altro la gioia serena».

 

Ma torniamo alla Kaliningrad di oggi che ospita, per esempio, il «migliore portale russo di musica indie» il cui indirizzo è www.nurock-koenig.com. Il gruppo pop locale «LP», poi, fa stampare sui cartelloni per i concerti - anche per quelli che pubblicizzano concerti che si tengono a Mosca, San Pietroburgo e altre città russe - «Gruppo LP, Königsberg, Russia». Agli «LP», il vecchio nome della città piace di più; e non hanno intenzione di trasferirsi a Mosca: beh, certo, far la spola da Mosca è caro ma Königsberg, la loro città, merita questo e altro.

Alla fine di aprile, la «Komsomolskaja Pravda» di Kaliningrad, ha pubblicato un articolo sui film russi che sono stati girati a Kaliningrad. Grandi film come ad esempio «Il padre dei soldati» [1964], in cui si possono ancora vedere le rovine del castello di Königsberg. Il più recente «Über uns» [«Su di noi»] e ancora un altro girato per la televisione tedesca da Peter Kahane «Eine Liebe in Königsberg» [«Un amore a Königsberg»]. Film che, prima ancora d’essere mandato in onda sul canale tedesco ZDF, nell’aprile 2006, è stato mostrato due volte in un cinema di Kaliningrad suscitando grandi entusiasmi. Quando la «Komsomolskaja Prawda» ha chiesto agli studi televisivi «Lenin» di San Pietroburgo quando verrà girato un nuovo film a Kaliningrad, ha ricevuto la seguente risposta: «Se si vuole girare qualcosa a Kaliningrad, bisogna rendere più attraente la città, ad esempio cambiandole il nome in Königsberg». Il giornale ha pubblicato questa presa di posizione con un titolo a caratteri cubitali «Ecco il parere degli esperti: cambiate il nome in Königsberg e poi arriviamo noi!».

 

Nei giorni più vicini a noi, il governo regionale ha ammorbidito la sua posizione: nel maggio scorso, davanti a giornalisti tedeschi e russi, il governatore Georgji Boos ha dichiarato che abbattere il castello di Kaliningrad nel 1969 è stato un «atto barbarico di vandalismo» e ha dichiarato che il centro storico di Kaliningrad verrà ricostruito fedelmente. Il castello no, non sarà ricostruito in base all’originale; ne verranno ricostruite soltanto delle parti, da unire ad un museo della Prussia e a un hotel di lusso. Non dovranno risorgere soltanto parti del castello ma anche del centro storico. E, parallelamente, verrà costruita una città moderna, postsovietica, russa e insieme europea. A questa città non si adeguerà più il nome di Kaliningrad forse verrà fuori qualcosa come ‘Kenigsgrad’…

Quale sarà l’identità che attribuiranno a se stessi gli abitanti della futura città di Kenigsgrad? Secondo quanto ha dichiarato lui stesso, Boos avrebbe ricevuto da Putin l’ordine di integrare il territorio in Europa. La città, secondo lui, potrebbe diventare una specie di zona franca, senza obbligo di visti di entrata e di uscita. L’unica difficoltà che vede riguarda la Nato. A proposito dell’identità degli abitanti della futura città, Boos ha risposto «Si sentiranno europei e russi».

Alcuni giornalisti hanno scherzato sul fatto che la parola «Russi», in tedesco, non differisce molto diversa da quella che indica i «Prussiani». Anche lo zar era chiamato il «Signore di tutti i Russi» che suona quasi come «di tutti i Prussiani». Nel territorio vi sarà quindi, una ‘Russia prussiana’ e gli abitanti dela futura Kenigsgrad saranno dunque i successori dei Prussiani, vale a dire dei ‘Russi prussiani’.

Boos propone il nome di Kenigsgrad per gli stessi motivi per cui, nel 1990, era stato proposto per San Pietroburgo il nome di Petrograd - proprio per evitare San Pietroburgo che, in russo, suona un po’ tedesco. La ricerca di «ístina» cioè di verità e di autenitcità ha poi fatto sì che San Pietroburgo riprendesse il suo nome antico. Leonard Kalinnikov, presidente della società kantiana e professore di filosofia all’Università di Kaliningrad – che da quest’anno si chiama «Università Immanuel Kant» – nel suo discorso sull’anniversario di Kant, il 22 aprile 2006, ha espresso davanti alla sua tomba la speranza che presto Kaliningrad possa riprendere il suo nome. Speriamo che il suo auspicio divenga realtà.

 

Alcuni anni fa, Michel Deguy, lirico e critico letterario francese, ha proposto come integrare il territorio in Europa. «Come tollerare che l’ambiguo Kalinin, assassino rimasto nell’ombra, docile strumento nelle mani di Stalin … macchi con il suo nome la città che ha dato i natali al Mosé europeo. Se c’è un posto che deve riprendere il suo nome tedesco, è proprio questo. Il ricordo di Kant deve tornare nelle strade, sulle insegne dei negozi così come il ricordo di Joyce è tornato a Dublino. Königsberg va proclamata «città europea della cultura», foss’anche solo per un anno, è il minimo che si possa fare per lei».

Un filo conduttore che lo guidi nelle sue scelte, Boos lo può trovare proprio nell’opera di Kant. L’ultima frase della «Risposta alla questione: che cos’è l’Illuminismo?» il governatore dovrebbe incorniciarla e appenderla alla parete dello del suo studio: «Quando dunque la natura ha sviluppato sotto questo duro involucro il germe di cui essa prende così tenera cura, cioè la tendenza e la vocazione al libero pensiero, allora questa tendenza e vocazione reagiscono sul modo di sentire del popolo (per cui questo diventa a poco a poco sempre più capace della libertà di agire) e da ultimo anche sui princìpi del governo, che finisce per comprendere che è per lui vantaggioso trattare l'uomo, che ormai è più che una macchina, in modo conforme alla sua dignità».

Königsberg in Prussia, 30 settembre 1784.

I. Kant

 

Gli abitanti di Kaliningrad considerano da sempre Kant come loro concittadino. Se potessero decidere loro, restituirebbero da subito alla città il nome di Königsberg.

 

© 2007 Gerfried Horst

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